Il tricolore sul tetto del mondo: da Scipione Borghese a

April 9, 2018 | Author: Anonymous | Category: N/A
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Storie in Corso 3 Seminario Nazionale Dottorandi (Siena, 6-7 marzo 2008)

Nico Mastropietro Il tricolore sul ‘Tetto del Mondo’: da Scipione Borghese a Fosco Maraini (1900-1959)

Introduzione Il progetto di ricerca oggetto di questa relazione trae la propria origine essenzialmente da 2 input fondamentali: da una parte esso vuol essere un deciso approfondimento di un tema appena trattato nel corso della redazione della tesi di laurea1, nella quale, sotto forma di capitolo introduttivo, veniva effettuata una ‘ricognizione generale’ nel campo delle esplorazioni della vasta regione montuosa occupata dalle catene dell’Hindukush, del Karakarum e dell’Himalaya; in secondo luogo, un autorevole ed importante punto di riferimento è rappresentato dal saggio di Francesco Surdich “L’esplorazione scientifica e la prospezione politico-commerciale”. Nella seconda parte di questo breve ma denso contributo, il massimo esperto italiano di Storia delle esplorazioni illustra, con una efficace panoramica d’insieme, il fondamentale apporto offerto dai viaggiatori e dagli studiosi italiani alla conoscenza di alcune delle aree più ricche di attrattive culturali, geografiche e naturalistiche dell’Asia2. Tra queste regioni, abbiamo deciso di prendere in considerazione in primis l’Himalaya-Karakorum ed il Tibet, estendendo poi l’orizzonte geografico fino al Pamir ed al Tien Shan, individuando così una macro-area che, nell’arco temporale che va dagli inizi del ‘900 agli anni ’50, ha registrato un’intensissima attività esplorativa volta a risolvere alcuni degli ‘ultimi problemi geografici’ del continente asiatico, alla quale hanno preso parte personaggi universalmente noti come il Principe Luigi Amedeo di Savoia, il medico-esploratore Filippo de Filippi, il geologo Ardito Desio, l’orientalista e tibetologo Giuseppe Tucci. Ampliando per un attimo la visuale anche al di là dei confini nazionali è impossibile poi non menzionare i nomi di Sven Hedin e Aurel Stein, che, nel medesimo frangente, hanno contribuito con le loro iniziative in maniera determinante ad eliminare quel blank on the map che da almeno 2 secoli stimolava, congiuntamente con una gamma piuttosto varia di impulsi (questioni religiose, economiche, militari, strategiche, ecc.) il desiderio di conoscenza dei viaggiatori europei e delle comunità dalle quali essi provenivano. Che cosa, concretamente, può aver alimentato, tra la fine dell’800 e gli inizi del ‘900 un’autentica ondata di viaggi ed esplorazioni nella così detta Haute Asie? Uno degli elementi che, a nostro avviso, ha funzionato da catalizzatore è indubbiamente il singolare accostamento che, proprio a cominciare dagli ultimi decenni del XIX secolo, ha cominciato a caratterizzare, in maniera importante, le iniziative dirette ad accrescere la conoscenza di questa macro-area: da una parte l’interesse scientifico; dall’altra l’interesse sportivo facente capo alla ‘comunità alpinistica’. Se la conquista delle principali vette dell’arco alpino può essere interpretata, simbolicamente, come “la fine dell’avventura”3, l’affermarsi di un alpinismo extraeuropeo gettò le basi per un’azione che consentiva di confrontarsi in maniera sistematica con un mondo quasi del tutto sconosciuto (e per questo ricco di nuovo fascino), immergendosi in una dimensione inusuale, tra popolazioni diverse da quelle delle vallate alpine. Allo stesso modo, le comunità scientifiche non potevano rimanere indifferenti di fronte alle nuove possibilità nel campo dell’osservazione e classificazione naturalistica, della ricerca antropologica, della rilevazione topografica, degli studi di fisiologia, ecc. L’articolazione del progetto e le sue fonti La struttura del progetto di ricerca prevede, allo stato attuale di avanzamento del lavoro, l’articolazione in 3 sezioni fondamentali, corrispondenti ad altrettanti frangenti storici: 1. il primo ‘900 fino alla Prima Guerra Mondiale; 2. il periodo interbellico, 1918-1939; 1

N. Mastropietro, Dalle spedizioni nazionali all’individual trekking: turismo, economia e problematiche ambientali nell’Himalaya del Nepal. Tesi di laurea specialistica in Politiche e Relazioni internazionali (classe 60/S) discussa presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Pisa il 28/11/2005. 2 Cfr. F. Surdich, L’esplorazione scientifica e la prospezione politico-commerciale, in L’Oriente storie di viaggiatori italiani, Milano, Electa, 1985, pp. 214-237. 3 Cfr. S. Venayre, L’alpinisme, une aventure? Remarques sur l’historicité de l’aventure, in O. Hoibian, J. Defrance (a cura di), Deux siècles d’alpinismes européens, Paris, Budapest, Torino, L’Harmattan, 2002, pp. 163-174.

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3. la fase successiva alla Seconda Guerra Mondiale, conclusa (1964) dalla ‘conquista’ dell’ultimo 8000 (lo Shisha Pangma) e, per quanto riguarda gli italiani, dalla spedizione diretta nel 1959 da Fosco Maraini (e organizzata dalla sezione romana del CAI) al Picco Saraghrar. Indispensabile, seppur necessariamente più sintetica, sarà l’esposizione (sotto forma di capitolo introduttivo) delle dinamiche che hanno caratterizzato l’800, legate principalmente all’attività del Survey of India ed agli ‘intrighi diplomatici’ del Great Game; ricordiamo inoltre che già durante la secondo metà del XIX secolo alcuni viaggiatori italiani (in particolare il Marchese Osvaldo Roero di Cortanze4, il geologo Felice de Rocca, ecc.) ebbero modo, con iniziative da autentici ‘precursori’, di raccogliere una quantità rilevante di informazioni sul alcune aree (Ladakh, Pamir, ecc.) dell’Asia centro-meridionale. Il frutto più concreto delle ricerche sin qui svolte è rappresentato dal contributo apparso sul n. 35 dell’Antologia Vieusseux con il titolo “Esploratori, alpinisti e Sherpa: l’avventura himalayana dalle prime esplorazioni ai viaggi di Fosco Maraini”. La preparazione di questo saggio ha consentito, tra l’altro, di effettuare una prima ‘ricognizione’ di una parte delle fonti che verranno utilizzate per lo sviluppo del progetto; quest’ultimo prevede l’utilizzo di materiale a stampa e documentazione d’archivio inedita. La letteratura relativa all’esplorazione geografica e scientifica della Haute Asie è estremamente vasta ed eterogenea. In larga parte, relazioni, note e resoconti di viaggio sono stati pubblicati nel corso degli anni su periodici e riviste di settore facenti capo alla realtà britannica; in particolare: Asiatic Researches; Journal of the Asiatic Society of Bengal (JASB); Synoptical Volumes, Narrative Reports e Records del Survey of India; Alpine Journal (AJ) e Himalayan Journal (HJ). In alcuni casi, il particolare interesse e la consistenza delle osservazioni raccolte ha portato alla redazione di volumi narrativi di carattere più organico, nei quali vengono descritti con dovizia di particolari gli aspetti logistici, le realtà antropiche e geografiche, le suggestioni del viaggio, fornendo anche numerosi riferimenti relativi alla storia ed alla cultura delle aree visitate; sovente la parte narrativa è corredata da ricche appendici scientifiche e rappresentazioni cartografiche. Altre volte, la ‘memoria del viaggio’ è conservata in manoscritti, appunti, diari, materiale iconografico accompagnato da annotazioni e commenti. Alcuni resoconti contengono delle vere e proprie ‘sezioni documentarie’ o comunque ragguagliano il lettore sugli aspetti di natura economica della spedizione, sul concepimento dell’idea, sulla sua pianificazione: la relazione di Filippo de Filippi relativa all’iniziativa del 1913-14 contiene un’appendice con una accuratissima rendicontazione delle risorse impiegate (e della loro provenienza); il capitolo “Storia retrospettiva della spedizione” e l’intera “Parte seconda” del volume “La conquista del K2” (pubblicato da Ardito Desio nel 1954) sono dedicati all’esposizione dell’articolata fase preparatoria ed organizzativa dell’impresa. La relazione ufficiale del capo spedizione è sovente la fonte principale da tenere in considerazione; essa può essere integrata e/o confrontata con quanto lasciato dagli altri membri e dal personale impegnato nella pianificazione ed organizzazione della spedizione stessa. Di seguito sono indicati alcuni dei volumi consultati per lo svolgimento di questa ricerca: nella stragrande maggioranza dei casi fonti di prima mano. Si tratta evidentemente solo di una ‘scelta’ di letture che non può (e non vuole) essere esaustiva. Opere di carattere generale G. Dainelli, Esploratori e alpinisti nel Caracorùm, Torino, 1959 P. Hopkirk, The Great Game, London, 1990 J. Keay, When Men and Mountains Meet, London, 1977 K. Mason, Abode of Snow, London, 1955 R.H. Phillimore, The Historical Records of the Survey of India (4 voll.), Dehra Dun, 1946-58 4

Cfr. H. Balbiano, Flora e fauna nel resoconto di viaggio in Kashmir, Piccolo e Medio Thibet e Turkestan del Marchese Osvaldo Roero di Cortanze, in Miscellanea di Storia delle esplorazioni, XXXII, 2007, pp. 75-88.

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C.J. Wessels, Early Jesuit Travellers in Central Asia (1603-1721), The Hague, 1924 XIX secolo A. Cunningham, Ladak: Physical, Statistical and Historical, London, 1854 F. Drew, The Jummoo and Kashmir Territories, London, 1875 T.D. Forsyth, Report of a Mission to Yarkand in 1873, Calcutta, 1875 T.E. Gordon, The Roof of the World, London, 1876 J.D. Hooker, Himalayan Journals (2 voll.), London, 1854 O. Roero di Cortanze, Ricordi dei viaggi al Cachemir … (3 voll.), Torino, 1881 H. von Schlagintweit, Reisen in Indien und Hochasien (4 voll.), Jena, 1869-80 T. Thomson, Western Himalaya and Tibet, London, 1852 G.T. Vigne, Travels in Kashmir … (2 voll.), London, 1852 1885-1918 C.G. Bruce, Twenty Years in the Himalaya, London, 1910; Id., Kulu and Lahoul, London, 1914 C. Calciati, Al Caracorùm: diario di due esplorazioni, Firenze, 1930; Id., Himalaia cashmiriano, Milano, 1930 W.M. Conway, Climbing and Exploration in the Karakoram Himalayas, London, 1934 F. de Filippi, La spedizione al Karakoram e nell’Imalaia occidentale, Bologna, 1912; Id., Storia della spedizione scientifica italiana nel Himalaia Caracorum e Turchestan cinese (1913-1914), Bologna, 1924 A.G. Durand, The Making of a Frontier, London, 1900 D. Fraser, The Marches of Hindustan, London, 1907 D. Freshfield, Round Kangchenjunga, London, 1903 J.J. Guillarmod, Six moins dans l’Himalaya, le Karakorurum et l’Hindu-Kush, Neuchâtel, 1904 E.F. Knight, Where Three Empires Meet, London, 1895 K. Mason, Completion of the Link Connecting the Triangulations of India and Russia 1913, Dehra Dun, 1914 A.L. Mumm, Five Months in the Himalaya, London, 1909 A. Neve, Thirty Years in Kashmir, London, 1913 C.G. Rawling, The Great Plateau, London, 1905 C. Sherring, Western Tibet and the British Borderlands, London, 1906 F.E. Younghusband, The Heart of a Continent, London, 1896 1918-1939 P. Bauer, Im Kampf um den Himalaja, Munich, 1931; Id., Um den Kantsch, 1931, Munich, 1933 F. Bechtold, Deutsche am Nanga Parbat: Der Angriff 1934, Munich, 1935 C.G. Bruce, The Assault on Mount Everest 1922, London, 1923 G.O. Dyhrenfurth, Dämon Himalaya, Basel, 1935 P.F.M. Fellowes, L.V.S., Blacker, First over Everest, London, 1933 C.K. Howard-Bury, Mount Everest: The Reconnaissance 1921, London, 1922 T. Longstaff, This is My Voyage, London, 1949 F. Maraini, Segreto Tibet, Bari, 1951 K. Mason, The Exploration of the Shaksgam and Aghil Ranges 1926, Dehra Dun, 1927 E.F. Norton, The Fight for Everest 1924, London, 1925 H. Ruttledge, Everest 1933, London, 1934; Id., Everest: The Unfinished Adventure, London, 1937 A. Savoia-Aosta, A. Desio, La spedizione geografica italiana al Karakoram, Milano, 1936 H. de Ségogne, Karakoram Expédition française à l’Himalaya 1936, Paris, 1938 E. Shipton, Nanda Devi, 1936; Id., Blank on the Map, London, 1938; Id., Upon that Mountain, London, 1943

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F.S. Smythe, The Kangchenjunga Adventure, London, 1932; Id., Kamet Conquered, London, 1932; Id., Camp Six, London, 1937; Id., The Valley of Flowers, London, 1938 H.W. Tilman, The Ascent of Nanda Devi, Cambridge, 1937; Id., Mount Everest, 1938, London, 1939 G. Tucci, Cronaca della missione scientifica Tucci nel Tibet occidentale (1933), Roma, 1934; Id., Santi e briganti nel Tibet ignoto, Milano, 1937 J. Visser-Hooft, Among the Kara-korum Glaciers, London, 1926 F.E. Younghusband, Everest: The Challenge, London, 1936 1945-1964 P. Bauer, Das Ringen um den Nanga Parbat 1856-1953, Munich, 1955 A. Desio, La conquista del K2, Milano, 1954 M. Herzog, Annapurna, Paris, 1951 J. Hunt, The Ascent of Everest, London, 1953 F. Maraini, Gasherbrum IV, Bari, 1959; Id., Paropàmiso, Bari, 1963 G. Tucci, A Lhasa e oltre, Roma, 1950; Id., Tra giungle e pagode, Roma, 1953; Id., Nepal Alla scoperta dei Malla, Bari, 1960 Di seguito sono fornite alcune indicazioni sugli archivi presso i quali, in base alle ricognizioni effettuate ed alle informazioni raccolte, è conservata della documentazione utile per lo sviluppo della ricerca. K2 1954 L’archivio della spedizione italiana del 1954 al Karakorum fu donato al Museo Nazionale della Montagna “Duca degli Abruzzi” di Torino dal Club Alpino Italiano nel 1981. Si tratta di un archivio assai peculiare. Esso è costituito in buona parte da copie di atti: minute di lettere inviate e molteplici copie di lettere ricevute, oltre a pro-memoria vari, verbali, ecc. Della sorte dei documenti originali mancanti nulla è dato sapere: si può soltanto supporre che, considerata la delicatezza delle questioni trattate, alcuni originali siano stati conservati dai dirigenti del CAI, oppure prelevati dai magistrati per allegarli ai fascicoli processuali. A causa delle evidenti lacune riscontrabili è comunque certo che si tratta di un archivio menomato e più volte rimaneggiato, quanto meno tutte le volte che si rese necessario consultarlo per l’aprirsi di un nuovo contenzioso; purtuttavia, esso rappresenta il principale ed insostituibile strumento per la ricostruzione delle diverse fasi organizzative della spedizione. È costituito da 160 fascicoli, suddivisi in 9 serie corrispondenti ad altrettante tipologie documentarie (verbali, contabilità, ecc.). L’Associazione Ardito Desio di Roma conserva l’archivio personale del grande studioso friulano, il quale rivestì un ruolo fondamentale nell’impresa del 1954. L’accessibilità della documentazione – si tratta di un patrimonio realmente sterminato e della natura più varia – pone al momento diversi interrogativi, poiché non ne è stata ancora ultimata la sistemazione e l’inventariazione. Gasherbrum IV 1958 I documenti relativi alla spedizione nazionale italiana al Gasherbrum IV sono conservati presso la Biblioteca Nazionale del CAI di Torino. Non si tratta di un vero e proprio archivio come nel caso del K2, ma di una ‘raccolta’ di verbali e di corrispondenza relativi all’organizzazione dell’iniziativa (1956-1958). Per la gestione di questi materiali non è disponibile alcun inventario, poiché si tratta di documentazione ancora in fase di riordino (per questa ragione forse anche incompleta): tuttavia un’accurata perlustrazione ha consentito la raccolta di una discreta quantità di informazioni assolutamente inedite, relative soprattutto al concepimento (piuttosto controverso) dell’idea di realizzare una seconda spedizione nazionale al Karakorum.

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Vittorio Sella Le carte di Vittorio Sella, attualmente conservate presso la Fondazione Sella di Biella, riguardano principalmente materiale a stampa ed inedito relativo all’esplorazione della montagna ed ai viaggi compiuti dallo stesso Sella al seguito di Luigi Amedeo di Savoia e Douglas Freshfield. Di particolare interesse per la nostra ricerca sono i diari relativi alla spedizione del 1909 nella regione del Karakorum e le lettere inviate alla famiglia durante i mesi trascorsi in Asia. Altresì rilevante è, evidentemente, la corrispondenza con il Duca degli Abruzzi, che consente di ricostruire i rapporti con l’esponente di Casa Savoia e, auspicabilmente, di raccogliere delle informazioni in merito all’organizzazione dell’impresa e ad eventuali altri piani (poi rimasti inattuati) del Duca. In una prospettiva più generale, sarà importante considerare le serie “corrispondenza” e “copialettere”, che contengono i carteggi di Vittorio Sella con vari personaggi legati all’esplorazione extraeuropea, tra i quali possiamo ricordare, oltre al già citato Freshfield, gli italiani Giotto Dainelli ed Ardito Desio. Scipione Borghese e Jules Brocherel Presso la Fondazione Donna Santa Principessa Hercolani di Roma sono conservati il diario di viaggio del Principe Scipione Borghese relativo alla spedizione del 1900 nel Tien Shan ed alcune lettere scritte alla famiglia durante la permanenza in Asia Centrale. L’Archivio Storico Regionale di Aosta custodisce un fondo intitolato a Jules Brocherel, uno dei membri della spedizione di Scipione Borghese; al suo interno non esiste una sezione specificamente dedicata al viaggio del 1900, ma sono state individuate diverse lettere inviate dallo stesso Scipione Borghese (e da personaggi quali Vittorio Sella e Giotto Dainelli) nelle quali si fa riferimento alle ricerche condotte in Asia da Brocherel. Club Alpino Accademico Italiano L’archivio del Club Alpino Accademico Italiano è conservato presso la Biblioteca Nazionale del CAI. Al momento della stesura di questa relazione è disponibile soltanto un inventario provvisorio del ricco patrimonio consolidatosi nel corso dei decenni, dal quale tuttavia è stato possibile trarre alcune indicazioni di massima utili per limitare la ricerca ad un numero circoscritto di sezioni documentarie. Di un certo interesse è, a tal proposito, la serie “corrispondenza”, specificamente le lettere inviate dalla presidenza del CAAI alla presidenza del CAI e viceversa, nonché la corrispondenza personale di Alfredo Corti. Nella serie “verbali” meritano una adeguata considerazione i documenti del Consiglio Generale e dell’Assemblea Plenaria. Società Geografica Italiana La Società Geografica Italiana, nell’ambito del frangente che ci proponiamo di analizzare (19001959), non organizzò direttamente alcuna spedizione diretta all’esplorazione dell’Asia Centrale e della regione himalayana. Tuttavia, sia l’archivio storico che l’archivio amministrativo meritano di essere oggetto di una ‘ricognizione’: soprattutto per quanto riguarda i casi specifici delle spedizioni scientifiche del 1913-14 e del 1929, delle quali sono fornite nelle pagine che seguono delle brevi descrizioni. Il Fondo Giotto Dainelli comprende il vasto archivio personale di questo illustre studioso, per oltre 40 anni personaggio di spicco della cultura italiana; in esso sono raccolti manoscritti, pubblicazioni, documenti e materiale fotografico e cartografico. Podestà di Firenze durante il ventennio fascista, Dainelli prese parte a numerose spedizioni scientifiche in Africa orientale ed Asia centro-meridionale: impossibile non ricordare, per quelli che sono gli obiettivi e gli interessi del presente lavoro, la partecipazione alla spedizione in Kashmir, Karakorum e Turkestan cinese (1913-14); egli organizzò anche, in maniera del tutto autonoma, un’iniziativa propria nel Tibet occidentale (1930), studiando in special modo il ghiacciaio Siachen. La sua opera scientifica, molto vasta, va dalla geologia alla paleontologia, fino geografia fisica ed

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umana. Di particolare rilevanza sono le opere dedicate alle popolazioni del Karakorum e del Ladakh. Per quanto concerne la documentazione inedita, tutto da ‘esplorare’ è il carteggio con Filippo de Filippi, che copre il periodo 1913-38. Royal Geographical Society, British Library, Oxford University Presso l’archivio della Royal Geographical Society di Londra è conservato un file abbastanza corposo contenente la corrispondenza tra Filippo de Filippi e la Società stessa, in buona parte relativo all’attività scientifica svolta dal medico-esploratore fiorentino nella regione del Karakorum; inoltre all’interno del monumentale fondo che raccoglie la documentazione relativa alle spedizioni britanniche all’Everest è stata individuata una cartella contenente un carteggio di de Filippi per l’organizzazione, anche in Italia, di conferenze aventi ad oggetto le iniziative del 1921, 1922 e 1924. Due ultimi brevissimi cenni vanno rivolti alla British Library, presso la quale, tra le carte di Francis Younghusband, sono state individuate diverse lettere inviate al grande esploratore britannico dal Duca degli Abruzzi (1910-1919); ed all’Università di Oxford, dove è conservato l’archivio personale di Marc Aurel Stein: tra i suoi documenti vanno ricordate le lettere di Filippo de Filippi (i due, come ha evidenziato Susan Whitfield5, erano legati da una amicizia che durò fino alla morte di de Filippi, avvenuta nel 1938). Il carteggio fra questi due studiosi è (almeno in parte) ricostruibile utilizzando la documentazione conservata (seppur in maniera non sistematica) dagli eredi di Filippo de Filippi. Viaggiatori ed esploratori italiani in Asia Centrale: appunti sui risultati della ricerca Nel XX secolo, la prima vera spedizione italiana in Asia Centrale fu quella organizzata dal Principe Scipione Borghese nel 1900 e diretta al Tien Shan (i cosiddetti Monti Celesti). L’idea di compiere un viaggio con intenti esplorativo-alpinistici risaliva in realtà agli ultimi anni dell’800 e prevedeva, nella sua formulazione originaria, l’effettuazione di una ‘campagna’ nella regione del Caucaso: per questo motivo, lo stesso Scipione Borghese intrattenne una breve corrispondenza con Vittorio Sella (grande conoscitore della regione, che aveva avuto modo di visitare a più riprese nel 1889, 1890 e 1896), cercando di raccogliere informazioni in merito alla definizione dell’itinerario ideale, al reclutamento dei portatori, ecc.; tuttavia, una serie di difficoltà organizzative indussero ad abbandonare il progetto, rimpiazzato da un secondo programma (poi anch’esso accantonato) nel quale si indicava come meta il Pamir. L’iniziativa del 1900 aveva carattere privato, in quanto nessuna istituzione fu ufficialmente coinvolta per la pianificazione o per il finanziamento del viaggio. Come sottolinea Michel Tailland, era l’organizzazione stessa delle ‘istituzioni della montagna’ e specificamente la connotazione che esse avevano assunto in Europa alterando profondamente quelli che erano i caratteri originari del modello dell’Alpine Club a costituire un limite ‘strutturale’ per l’appoggio concreto ad iniziative non alpine: una differenza fondamentale sembra distinguere l’alpinismo «continentale» da quello britannico. I vittoriani hanno avuto bisogno di «terreni di gioco» esterni, e malgrado la codificazione e la struttura dell’Alpine Club, la loro pratica dell’alpinismo è stata attività di borghesi ben educati, alla scoperta del mondo ampliando i limiti del possibile. La loro energia e le loro qualità personali li hanno spinti sulle vette in altrettante esperienze individuali o condivise con qualcuno che rispondeva a identiche motivazioni. Per contro sui pendii delle Alpi si accalcavano ormai schiere di camminatori organizzati in strutture quasi militari dove si porta la bandiera da piantare sulla vetta. Il nazionalismo e l’irreggimentazione caratterizzano questi movimenti che si collocano assai lontano dall’espressione d’un certo edonismo, del piacere individualistico e dell’eleganza dei primi vittoriani6.

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Cfr. S. Whitfield, Aurel Stein On the Silk Road, Chicago, Serindia Pub. Inc., 2004; si veda in particolare il capitolo 6. M. Tailland, Corpo e pratica sportiva, in C. Ambrosi, M. Wedekind (a cura di), L’invenzione di un cosmo borghese, Trento, Museo Storico, 2000, pp. 73-90:90. 6

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Nel 1900, la comitiva degli europei era ridotta a soli tre membri: Scipione Borghese, il Professor Jules Brocherel di Courmayeur, che, oltre a tenere il ‘giornale di viaggio’, redasse uno studio sulla lingua ed i costumi della popolazione kirghisa e raccolse una copiosa serie di esemplari di piante, insetti e minerali, e la guida Mattia Zurbriggen di Macugnaga. Le montagne del Tien Shan, per quanto ricche di attrattiva – non fosse altro che per il fatto che se ne conosceva assai poco (il contributo offerto dalla spedizione di Scipione Borghese fu il primo di una certa organicità) –, non attirarono l’interesse di altri viaggiatori italiani, i quali durante il primo ‘900 (fino alla Prima Guerra Mondiale) svolsero un’intensa attività nella regione del Karakorum. Nel 1909 il Duca degli Abruzzi, accompagnato dal fotografo biellese Vittorio Sella, dal Marchese Federico Negrotto e dal medico-esploratore Filippo de Filippi, organizzò e diresse una spedizione che, durante i mesi estivi, svolse una importante campagna scientifico-alpinistica nella regione del K2. Oltre a tentare la scalata di questa cima (tentativo poi abbandonato per le insormontabili difficoltà tecniche), il gruppo esplorò interamente ogni versante della montagna, riuscendo a scorgere anche l’inaccessibile parete nord. Il risultato che ebbe maggiore risonanza, non soltanto sulle riviste di settore ma anche sui quotidiani, fu il raggiungimento (sulle pendici del Bride Peak) dell’incredibile quota di 7498 metri, che all’epoca rappresentò il record d’altezza toccata dall’uomo. I risultati scientifici furono ampiamente diffusi grazie al volume “La spedizione al Karakoram e nell’Imalaia occidentale” e a vari contributi apparsi sulle pagine del Bollettino della Società Geografica Italiana (SGI). L’impresa del Duca degli Abruzzi fu seguita a pochi anni di distanza da un’iniziativa dal carattere esclusivamente scientifico: la spedizione de Filippi del 1913-14. Non possiamo fornire in questa sede tutte le informazioni che sarebbero necessarie per inquadrare il capitale conoscitivo raccolto nel corso di svariati mesi dall’équipe riunita da questo importantissimo viaggiatore: lo stesso Giotto Dainelli (uno dei membri del gruppo) in “Esploratori e alpinisti nel Caracorùm” ha utilizzato l’aggettivo «totalitario» per definire il carattere di un’impresa i cui contributi, in effetti, spaziarono dalle ricerche in campo geologico alle indagini antropologiche e dagli studi sul magnetismo fino all’esplorazione geografica vera e propria. Da notare che, malgrado il contributo economico più sostanzioso fosse fornito dallo stesso de Filippi, la spedizione del 1913-14 poté usufruire di una serie di finanziamenti provenienti dalla SGI, dall’Istituto Veneto per le Scienze, le Arti e la Letteratura, dalla Royal Geographical Society e da altre importati istituzioni scientifiche. Ricordiamo brevemente che nel 1913 l’avvocato e imprenditore laniero biellese Mario Piacenza pianificò, finanziò e diresse una spedizione (assai meno ambiziosa rispetto a quella di de Filippi) nella regione del Suru (Himalaya del Kashmir), nel corso della quale furono svolte, tra l’altro, ricerche nel campo della fisiologia, che in Italia, grazie ad Angelo Mosso, avevano avuto un certo sviluppo, e fu raggiunta la vetta del monte Kun (7096 m.) Cesare Calciati, uno dei membri del gruppo, nonché storiografo dell’impresa, nel 1908 e nel 1911 prese parte in veste di topografo e naturalista a due spedizioni dei coniugi americani Fanny Bullock Workman e William Hunter Workman. Nel 1930, la moglie di Calciati curò la pubblicazione postuma delle note di viaggio del marito: “Al Caracorùm: diario di due esplorazioni”. La Prima Guerra Mondiale chiuse simbolicamente un’epoca: i mutamenti politici in Italia ed in Germania portarono ad una socializzazione pan-nazionalistica e la pratica alpinistica si diffuse a tutti gli strati sociali; tali processi causarono un grandissimo balzo in avanti dell’alpinismo estremo e sportivo, in particolare con quelle prime salite che, per indubbia superiorità rispetto alle precedenti, vennero definite di 6° grado. Non a caso i tedeschi e subito dopo gli italiani primeggiarono in questa ‘battaglia’ che si servì dell’individuo per affermare una presunta superiorità nazionale o razziale. A tali posizioni non si adeguarono l’alpinismo britannico e quello francese. A fronte di una dimensione che, per quanto riguarda i viaggi in Asia Centrale, conservava un carattere eminentemente scientifico (Hedin, Stein, ecc.), la risoluzione di alcuni problemi di natura logistica ed organizzativa rese possibile la pianificazione dei primi prematuri tentativi di scalata delle cime più alte del globo nella catena dell’Himalaya. In quest’area, tra gli anni ‘20 e ‘30, con 8

l’affrancamento dalla predominanza degli interessi scientico-esplorativi (che comunque non furono del tutto accantonati e stimolarono iniziative di una certa importanza), la Gran Bretagna e la Germania organizzarono (pur in contesti culturali assolutamente differenti), rispettivamente, 7 spedizioni dirette all’Everest e 5 spedizioni dirette al Nanga Parbat. Per quanto concerne l’Italia, nel 1927 alcuni esponenti della sezione milanese del Club Alpino Italiano, in particolare Gaetano Polvara, Gianni Albertini e Arturo Andreoletti, che all’epoca rivestiva la carica di segretario particolare del Podestà di Milano Belloni, iniziarono la prima approssimativa stesura di un progetto che avrebbe dovuto condurre alla realizzazione di una spedizione di carattere prettamente alpinistico diretta alla catena del Karakorum. Si trattava, più che di un programma strutturato, di ‘linee guida’ che puntavano a capitalizzare l’esperienza raccolta dal Duca degli Abruzzi nel 1909: l’idea era quindi sostanzialmente quella di ripetere il tentativo di scalata del K2, avvalendosi delle migliorie tecniche nelle attrezzature e di una organizzazione logistica agevolata da un coinvolgimento diretto delle istituzioni. A tale scopo, grazie all’intermediazione di Andreoletti fu interessata, in prima battuta, l’amministrazione comunale di Milano, che a sua volta avrebbe dovuto coinvolgere la Cassa di Risparmio delle Province Lombarde. La realizzazione dell’impresa sarebbe dovuta coincidere con le celebrazioni per il decennale della vittoria di Vittorio Veneto del 1918: la Reale Società Geografica Italiana (RSGI) e la Sezione di Milano del CAI avrebbero assunto la responsabilità morale dell’iniziativa. Per quello che riguarda il coinvolgimento di personaggi dotati di una certa visibilità, due erano i nomi più indicati: Ardito Desio, che già aveva offerto il proprio contributo alla spedizione all’oasi di Giarabub promossa dalla RSGI; e Giotto Dainelli, membro della spedizione asiatica promossa da de Filippi nel 1913-14 e quindi con un ottimo bagaglio di conoscenza della regione del Karakorum. Gli obiettivi ai quali l’iniziativa era rivolta, il periodo in cui essa avrebbe dovuto svolgersi (inizialmente si parlò del 1928, ma in realtà tutto slittò di un anno, fino all’estate del 1929), la sua stessa composizione – in primis la leadership: Dainelli rifiutò l’investitura e venne sostituito da Aimone di Savoia, nipote del Duca degli Abruzzi – subirono una serie di modifiche secondo dinamiche che sono ancora tutte da studiare, tanto che quella che doveva essere un’impresa destinata a portare lustro al Regime, ottimamente collocata in un quadro nel quale, tra gli anni ’20 e ’30, la ‘politicizzazione’ della montagna e in senso più generale la strumentalizzazione dello sport avrebbero dato ottimi ‘risultati’, venne ridefinita – all’indomani della tragedia del Dirigibile Italia – nei termini di una assai meno rischiosa iniziativa di carattere scientifico-esplorativo. La relazione del viaggio, curata dal Duca di Spoleto e (per la parte scientifica) da Ardito Desio, e pubblicata nel 1936 testimonia come, malgrado il sostanziale stravolgimento delle finalità della spedizione, quest’ultima sia riuscita ad offrire un contributo non disprezzabile alla conoscenza delle regioni visitate. Il coinvolgimento italiano nell’esplorazione dell’Asia Centrale e della regione himalayana nel ventennio che intercorse tra la Prima e la Seconda Guerra Mondiale è completato dalle iniziative, a carattere esclusivamente privato, di Edvige Toeplitz Mrozowska, protagonista di un viaggio di una discreta rilevanza sull’altipiano del Pamir, regione nella quale l’unico precedente italiano risaliva alla fine dell’800 con Felice de Rocca, e autrice di un accurato resoconto pubblicato con il titolo “La prima spedizione italiana attraverso i Pamiri”; e di Giotto Dainelli, che nel 1930 realizzò una importante spedizione diretta al Ghiacciaio Siachen, della quale lo studioso fiorentino riferisce attraverso il suo diario, ancora oggi conservato presso la Biblioteca della SGI, ed il volume “Il mio viaggio nel Tibet Occidentale”, edito nel 1932. Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, agli obiettivi di natura scientifica o esplorativoalpinistica si sostituirono in maniera quasi sistematica quelli di carattere sportivo. In particolare le 14 cime superiori agli 8000 metri divennero oggetto di un autentico assedio durato dal 1950 al 1964 e che vide come attori una molteplicità di nazioni: la Francia, la Gran Bretagna, la Svizzera, la Germania, l’Austria, il Giappone, l’India, gli Stati Uniti, la Cina, ecc. Ad una organizzazione che per decenni aveva fatto ripetutamente riferimento (pur con delle eccezioni) all’iniziativa privata e all’intraprendenza di personaggi in grado di investire tempo e 9

denaro in iniziative che solo in via sussidiaria trovavano il sostegno delle istituzioni (l’interesse principale di queste ultime, Società Geografiche e Club Alpini, era semmai quello di offrire spazio sulle proprie riviste per la divulgazione delle relazioni di viaggio e dei risultati scientifici), si sostituiva un approccio molto più ‘metodico’: lanciata l’idea e definito il progetto, uno o più enti ‘specializzati’ (in Inghilterra esisteva il Mount Everest Committee, in Germania la Deutsche Himalayan Stiftung, in Francia, il Comité pour l’Himalaya, ecc.) si incaricavano di reperire i fondi necessari; i componenti più adatti a prendere parte alle varie iniziative venivano scelti tra una rosa di ‘candidati’. In Italia, questo tipo di organizzazione (all’interno del CAI esisteva la cosiddetta Commissione Spedizioni Extraeuropee) era meno ‘collaudata’ rispetto ad altre realtà; inoltre, le condizioni socioeconomiche del paese non sembravano consentire, sulla carta, un coinvolgimento in quella che divenne una vera e propria rincorsa al primato. Purtuttavia, grazie essenzialmente all’iniziativa di Ardito Desio (che già alla fine degli anni ’30 aveva cominciato a redigere bozze di progetti per la conquista di una grande vetta himalayana) e ad una serie di finanziamenti provenienti dal CONI, dal CAI e dal Governo – finanziamenti ottenuti in maniera alquanto complicata, che ingenerarono non poche polemiche in merito alla loro effettiva gestione –, anche l’Italia, tra il 1953 ed il 1954, riuscì ad organizzare e a realizzare con successo una spedizione di carattere nazionale diretta alla conquista di una vetta superiore agli 8000 metri. Come è ben noto la meta del team guidato da Desio era il K2, la cui sommità fu raggiunta il 31 luglio del 1954 da Achille Compagnoni e Lino Lacedelli. La spedizione vera e propria fu preceduta (come avvenne anche nel 1929) da una ricognizione condotta dallo stesso Desio, accompagnato dall’accademico Riccardo Cassin, nel settembre del 1953. In occasione di questo viaggio preliminare furono gettate le basi per la concessione dell’autorizzazione da parte del governo pakistano per il 1954, autorizzazione contesa agli americani, che, in virtù dei 3 tentativi effettuati tra il 1938 ed il 1953, pretesero di dover godere di una sorta di diritto di prelazione. Le dinamiche che caratterizzarono i mesi intercorsi tra la concessione del permesso e l’effettiva partenza della spedizione furono segnate da una complessa serie di vicende che misero in luce la conflittualità dei rapporti tra Desio ed il CAI, il ruolo subalterno del CAAI (poco propenso ad appoggiare un’impresa giudicata eccessivamente ambiziosa, soprattutto per quelle che erano le risorse umane e materiali disponibili) e alcuni elementi di contraddizione all’interno di una iniziativa “finanziata soprattutto per scopi scientifici che si propone[va] di raggiungere un obiettivo alpinistico”7. Le polemiche esplosero in maniera incontrollabile dopo la vittoria. Alcune di esse, non del tutto placate neppure a cinquant’anni di distanza (vedi in primis il ‘caso’ Bonatti), si collocano abbondantemente fuori dal contesto che vogliamo analizzare; altre, come ad esempio la gestione dei fondi residui e la realizzazione di un film con il quale celebrare l’impresa e garantire al CAI un ritorno in termini economici e d’immagine, ebbero un ruolo determinante nella pianificazione della “IIa Spedizione Italiana al Karakorum”, realizzata nel 1958, che portò alla conquista del Gasherbrum IV. L’anno successivo (1959) Fosco Maraini guidò la spedizione del CAI di Roma al Picco Saraghrar (Hindukush). Un discorso a sé meriterebbe, ovviamente, la figura di viaggiatore di Giuseppe Tucci, la cui attività, iniziata negli anni ’20, si protrasse fino alla metà degli anni ’50. Le diverse regioni (Tibet, Nepal, Swat, ecc.) verso le quali questo fondamentale personaggio della cultura italiana diresse le sue ricerche – ed i contenuti spesso complessi di queste ultime – necessiterebbero di una presentazione ben più organica di quella che possiamo fornire in questa sede; tuttavia, a titolo puramente indicativo, credodiamo sia utile proporre un breve schema delle iniziative di Tucci. Sulla base degli scopi prevalenti che ne stimolarono e condizionarono l’organizzazione, è possibile suddividere i viaggi e le spedizioni dello studioso maceratese in 4 fasi cronologiche fondamentali: 7

L. Scarambone, Non basta la scienza per salire a 8611 metri, in La Patria, 04/02/1954.

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1) 1926-1930: serie di viaggi nell’India settentrionale, comprese alcune aree himalayane di cultura tibetana (Ladakh, Sikkim), ai quali si aggiunge una breve esperienza nel Nepal. Lo scopo principale di queste iniziative fu lo studio delle biblioteche monastiche, il recupero di testi ed oggetti riguardanti la storia religiosa del Tibet ed il pensiero buddista. 2) 1931-1935: esplorazione del Tibet occidentale ed alcuni viaggi in Nepal. A partire da questo momento Tucci amplia il ‘respiro’ delle proprie ricerche, organizzando spedizioni della durata di diversi mesi in regioni la cui logistica presentava (all’epoca) non poche difficoltà, nel corso delle quali, oltre ad approfondire la conoscenza del pensiero religioso, iniziò a dedicarsi, in maniera pionieristica, allo studio della storia dell’arte tibetana. 3) 1937-1948: esplorazione del Tibet centrale. Dopo aver percorso gran parte del Tibet occidentale, l’attenzione di Tucci si spostò sulle province centrali, dove avevano sede i centri politici e religiosi più vivaci ed importanti dell’epoca moderna. 4) 1952-1955: esplorazione del Nepal occidentale e prima ricognizione dello Swat (Pakistan). La prima metà degli anni ’50 è un periodo rivolto alla conoscenza di quelle aree che, geograficamente limitrofe al Tibet vero e proprio, ne avevano condizionato in maniera rilevante la storia culturale. A fronte di un patrimonio immenso e di incalcolabile valore per lo studio specialistico delle tradizioni storiche ed artistiche delle regioni visitate (patrimonio oggi conservato presso l’Istituto Italiano per l’Africa e l’Oriente, IsIAO), decisamente più scarna appare la documentazione relativa all’organizzazione dei viaggi. In questo campo, un’indagine sistematica deve essere ancora di fatto avviata; le informazioni raccolte consentono tuttavia di individuare alcuni punti di partenza imprescindibili: l’archivio dell’IsIAO; l’archivio della Reale Accademia d’Italia; l’archivio della SGI e l’archivio della Fondazione Giovanni Gentile.

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